Sette Poemi scelti tra i complessivi ventuno e appartenenti alla prima fase dell’emigrazione, quando la Russia sovietica è alle spalle e Elabuga di là da venire; tramati di premonizioni e consonanze oniriche, e sorretti da una retorica di nuovissimo conio, da un sentimento fratello a quello che anima la voce del tribuno Majakovskij.
A questi canti il respiro emotivo della singola lirica va stretto, e Cvetaeva trova l’orizzonte loro più acconcio nella cornice distesa del poema. Quando Boris Pasternak addita «il tendere al poema» di tutti i cicli cvetaeviani, coglie il sottile crinale che corre tra i due versanti: se virtualmente ogni sua costellazione di liriche aspira a farsi poema, il passaggio si realizza solo laddove il disegno complessivo giunga alla perfetta coerenza di forma e temi. Inanellati uno sull’altro, i Poemi degli anni Venti traboccano di reciproche risonanze, vibrano degli stessi, elettrici impulsi, dominati come sono dalla volontà di oltrepassare le barriere della finzione per generare accadimenti e incontri palpabili, porre riparo a eventi già occorsi, istituire orizzonti inediti.
Marina Cvetaeva nasce a Mosca nel 1892. Moglie di un ufficiale «bianco », dopo la rivoluzione lascia la Russia e si stabilisce prima a Praga, poi a Parigi. Rientra in Unione Sovietica nel 1939. Muore suicida due anni dopo. Einaudi ha pubblicato la raccolta di poesie Sette poemi (2019).
Marina Cvetaeva, Sette poemi, cura e traduzione di Paola Ferretti, Einaudi 2019, pp. XLVI – 304, ISBN: 9788806230050