Come in Signore e signori (2004), nei sei monologhi qui raccolti Alan Bennett ci presenta una serie di personaggi cangianti e sottilmente obliqui, attingendo agli aspetti più tetri, ma anche più perfidamente comici, della vita di individui in apparenza normalissimi: l’addetto alle pulizie di un parco, la commessa di un grande magazzino, l’impeccabile casalinga ignara delle efferatezze del marito. Vite segregate, brulle, donne dimesse che sono protagoniste o testimoni di atti sordidi e agghiaccianti e ci raccontano una storia guardandoci negli occhi – anche se noi sappiamo che in realtà ne stanno raccontando un’altra.
RISVOLTO
«È l’unica parte della mia vita che mi sembra giusta… ed è quella sbagliata». Nel tentativo di evitare gli spoiler, non diremo a cosa si riferisce l’addetto alle pulizie che è il protagonista del Gioco. Ma la sua situazione è simile a quella in cui si trovano, negli altri monologhi di questa raccolta, la commessa di un grande magazzino, l’impeccabile casalinga probabilmente all’oscuro dei molti e sanguinosi misfatti del marito, l’antiquaria che si lascia sfuggire, per avidità, il colpaccio della vita, e altri ancora: un punto di svolta, dove esistenze fino a quel momento anonime si squarciano, facendo affiorare una realtà ingovernabile, sordida, agghiacciante. È quanto succede abitualmente ai personaggi dell’autore più amato d’Inghilterra, certo. Ma è anche quanto succede, o rischia di succedere, a ciascuno di noi. Il che spiega piuttosto bene quello che si potrebbe chiamare, d’ora in avanti, il paradosso Bennett: ridere – da morire – leggendo qualcosa che, a pensarci meglio, così ridere non fa.
In copertina: Alan Bennett ritratto nella sua casa di Londra. Foto di Eammon McCabe.
Alan Bennett, Il gioco del panino [Talking Heads 2], trad. it. Mariagrazia Gini, Adelphi 2016, pp. 132, ISBN: 9788845930584